"Una finestra sull’invisibile" di Bruno Racine
Che le opere siano luminose o cupe, silenziose o sonore, teatrali o austere, la mostra "Icônes" a Punta della Dogana invita il visitatore a fermarsi davanti a ciascuna di esse, a osservarle andando al di là della loro materialità.
Direttore di Palazzo Grassi - Punta della Dogana e curatore della mostra
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Sembra naturale che un’esposizione intitolata Icônes si tenga a Venezia. I legami tra la Repubblica e Bisanzio sono cosa nota e all’interno della basilica della Salute, nelle immediate vicinanze di Punta della Dogana, la scenografia barocca sembra essere stata interamente concepita allo scopo di esaltare un’icona antichissima, minuscola rispetto all’edificio ma venerata come miracolosa (ill. p. 18). Mentre nel Rinascimento l’Occidente sceglie compatto l’immagine realistica invece della stilizzazione dell’icona alla quale l’Oriente e la Russia ortodossa restano fedeli, si direbbe che Venezia abbia voluto conservare scrupolosamente una traccia di quest’ultima filiazione.
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Mentre i pittori bizantini le cui icone scandalizzavano gli iconoclasti non avevano alcuna intenzione di offendere nessuno, Cattelan era, al contrario, perfettamente consapevole che la La Nona Ora avrebbe scatenato una polemica.
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Ma cosa vediamo, precisamente, nell’opera di Cattelan, al di là o nonostante il suo realismo mimetico? Il volto del papa, curiosamente, non è — come ci si potrebbe attendere — deformato da un dolore che immaginiamo insopportabile. La sua espressione è grave, sembra fondamentalmente raccolta, forse sorpresa di fronte a un incidente statisticamente improbabile; invece di essere ridotto a brandelli dall’impatto con un masso di queste dimensioni lanciato a tutta velocità nello spazio, il suo corpo è integro. Giovanni Paolo II, saldamente aggrappato alla croce, sembra per di più fare uno sforzo per rialzarsi. È difficile non pensare alle scene di supplizio, così spesso rappresentate nelle chiese italiane, in cui i martiri, noncuranti della sofferenza, escono indenni dalle fiamme o dall’olio bollente e sfidano gli sforzi reiterati dei loro carnefici.
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Benché lo scalpore delle polemiche si sia attutito, La Nona Ora resta dunque, nel 2023 come nel 1999, ciò che l’artista ha voluto: un’opera che a prima vista turba, addirittura sconvolge, ma che secondo la sua stessa espressione e in riferimento alla Passione di Cristo costituisce “un lavoro spirituale che parla della sofferenza” (1).
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La sfida che ogni esposizione tematica deve affrontare è quella di rendere comprensibili o sensibili le ragioni che hanno presieduto alla scelta delle opere e degli artisti. Icônes non vi si sottrae e propone una gamma di esperienze che vanno dalla contemplazione delle opere estreme di Robert Ryman, di assoluta semplicità e raccolte come quelle di Roman Opałka in una sorta di santuario, all’impatto visivo e sonoro dei video di Arthur Jafa.
Qual è l’invito che Danh Vo ci rivolge mostrandoci la bandiera a stelle e strisce? Siamo lontani dall’immagine della superpotenza idolatrata che tutti cercano di imitare, pur professando odio nei suoi confronti: il vessillo lacerato pende miseramente come uno straccio, evocando la disfatta degli Stati Uniti in Vietnam e l’odissea della famiglia dell’artista tra centinaia di migliaia di boat-people. Assurta a simbolo della vanità delle grandezze umane, attraverso lo squarcio la bandiera lascia intravedere una Madonna con Bambino. Come gli altri artisti presentati, Danh Vo ci invita a portare il nostro sguardo al di là, a riconoscere l’icona sotto la varietà delle specie. Tocca a noi fare lo sforzo necessario per non essere come quelli “che hanno occhi e non vedono” (2).
Bruno Racine
Estratti del catalogo della mostra "Icônes"