Gestus, un progetto espositivo al Teatrino di Palazzo Grassi

Gestus II atto, performance Ajmone
Chiudi © Matteo De Fina
Articolo
21.02.23

Gestus, un progetto espositivo al Teatrino di Palazzo Grassi

Nel 2021 il Teatrino di Palazzo Grassi ha esplorato un nuovo ambito di attività attraverso la presentazione del suo primo progetto espositivo site-specific. “Gestus” è una mostra a cura di Video Sound Art pensata appositamente per il Teatrino.

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Nel 2021 il Teatrino di Palazzo Grassi ha esplorato un nuovo ambito di attività attraverso la presentazione del suo primo progetto espositivo site-specific. “Gestus” è una mostra a cura di Video Sound Art pensata appositamente per il Teatrino, che si presenta come un format aperto alle sperimentazioni artistiche più recenti, con l’obiettivo di dare forma a progetti originali, scardinando la tradizionale relazione tra spazio espositivo e pubblico. Concepita come un corpo in continua evoluzione, l’esposizione si compone di due atti, come accade nella performance teatrale, ciascuno dei quali vede come protagonisti due artisti, affiancati da un coro di performers.

“Gestus” è animata da opere video, installazioni, e dalle performance degli artisti Annamaria Ajmone, Ludovica Carbotta, Andrea Di Lorenzo, Caterina Gobbi, Luca Trevisani, Driant Zeneli ed Enrique Ramirez, ospite della residenza d’artista della Pinault Collection a Lens e protagonista della mostra del 2022 a Le Fresnoy National Contemporary Art. Le opere selezionate indagano il linguaggio fisico come attivatore di dinamiche trasformative: spezzare gli automatismi fisici e mentali, scomporre il corpo per poi ricomporlo, dare origine a delle utopie che sovvertono il naturale ordine delle cose.

Bisogna che l’attore esprima insieme all’azione che sta compiendo anche la possibilità di un’altra azione che non viene compiuta.
Bertolt Brecht

“Gestus I atto: Rifare il corpo”

Dal 15 ottobre al 24 novembre 2021, vengono presentate le opere di Enrique Ramirez e Luca Trevisani, accompagnate dalle performance di Enrique Ramirez, Caterina Gobbi e Andrea Di Lorenzo.

 

Il primo atto pone l’accento sulle pratiche artistiche che frammentano i confini fisici e concettuali del corpo, estendendoli verso altre realtà o forme di vita. “Gestus I atto: Rifare il corpo” trae ispirazione dall’utilizzo della maschera neutra inaugurato da Jacques Copeau nelle esercitazioni performative: la maschera permette agli attori di sperimentare l’efficacia dell’azione fisica, utilizzando il movimento del tronco attivato dal respiro. L’essere rinasce senza volto e si muove come la luna nel cielo, non si adatta a qualcosa di esterno a sé, ma si riterritorializza, cambiando la sua struttura. Lo scopo primario è quello di spezzare gli automatismi fisici e mentali, scomporre il corpo come una macchina per poi ricomporlo.

Enrique Ramirez e Luca Trevisani dialogano con l’idea di Artaud a proposito del “Teatro della crudeltà”: rifare il corpo per restituirlo alla sua vera libertà, rinsavire. Si tratta di una ricerca sulle azioni fisiche, del tentativo di dilatare la percezione e ridefinire i confini del mondo. In questo contesto il coro – Caterina Gobbi e Andrea Di Lorenzo – spinge il corpo oltre i confini fisici e sensoriali per avvicinarsi a forme di vita non umane. La volontà è quella di riplasmare la propria natura, diventare capaci di costruire nuovi collegamenti. 

“Gestus II atto: Il montaggio delle azioni”

Dal 1° dicembre al 15 gennaio 2022 si portano in scena le opere di Ludovica Carbotta e Driant Zeneli, così come, nei giorni successivi, le performance di Ludovica Carbotta con Benedetta Barzini, Annamaria Ajmone e Driant Zeneli. Nel secondo atto, si riflette sull’utopia intesa come strumento per “aprire” il corpo verso nuovi mondi e concezioni possibili: al montaggio delle azioni, alla segmentazione delle azioni fisiche, segue una ricomposizione.

I protagonisti – Ludovica Carbotta e Driant Zeneli – sondano nuove possibilità di stare al mondo e osservano, al di là delle apparenze, le strutture profonde che governano i comportamenti umani. Le opere riflettono sull’esplorazione fisica dello spazio urbano, propongono modelli di città utopiche, ribaltano il concetto di giustizia creando dinamiche paradossali. Le relazioni di potere e la Storia si intrecciano con le narrative individuali, dando origine a delle utopie che sovvertono il naturale ordine delle cose. Come accade per le piante, capaci di inglobare gli elementi circostanti e fondersi tra gli individui, il nuovo organismo crea un legame biunivoco con l’ambiente di cui fa parte. Il coro composto da Annamaria Ajmone e gli interventi performativi di Carbotta e Zeneli, attraverso testimonianze fisiche intergenerazionali, fa del corpo uno spazio politico a tutti gli effetti, dove le necessità della collettività e del singolo vengono rinegoziate.